top of page

Bellum - Testo critico

“BELLUM”: ALLEGORIE E SIMBOLISMI NELLA FOTOGRAFIA SURREALISTA

DI PAOLO ALDI

 di Romina Zanon

 

«Anche i grammatici hanno intuito la natura della guerra: alcuni sostengono che essa si chiama "bellum" per antitesi, perché non ha niente di buono, né di bello […]. Altri preferiscono far derivare la parola "bellum" da "bellua", belva: perché è da belve, non da uomini, impegnarsi in uno sterminio reciproco». Tale riflessione di Erasmo da Rotterdam rappresenta il preambolo concettuale di “Bellum”, l’ultima opera visiva del fotografo sperimentale Paolo Aldi (residente a Nomi). Il lavoro - che si compone di dieci polittici ognuno dei quali prende forma da una sequenza di dodici immagini - rappresenta una riflessione visiva sulla società contemporanea dilaniata da crudeli guerre di autodistruzione e da una logorante crisi dei valori morali che si manifesta nello smarrimento dell’individuo, preda di falsi miti moderni. Un’umanità impreparata alla velocità innaturale del progresso e vittima della solitudine imposta dai brutali meccanismi della società attuale diventa la protagonista dei quadri di “Bellum” titolati con nomi dal sapore arcaico e mitologico, quasi a intendere che nulla sembra essere cambiato nella profonda natura dell’uomo: IRA o La distruzione del mondo, ECATONCHIRI o La morte viene dal cielo, URANO o Lo sterminio dei figli, MITHRA o Il rifiuto della propaganda, VAYU o L’asfissia delle genti, ARPOCRATE o Non voglio sentire, CRONO o L’autocastrazione dell’umanità, IXTAB o Il suicidio, MNEMOSINE o Il desiderio di non perdere memoria, AHOEITU o La ricerca della ricomposizione.

In ciascun polittico - formato da serie narrative d’immagini consequenziali l’una all’altra secondo una logica paratattica - l’allegoria dell’autodistruzione dell’umanità prende la forma del corpo nudo di una donna che disegna visioni metaforiche mosse da un futuristico dinamismo. La serialità fotografica scompone gesti e movimenti della figura femminile che, mista di apparenza e realtà, di presenza e rappresentazione, apre orizzonti estetici di surrealistica memoria: il corpo, essendo traslato in un’altra dimensione di significazione, diventa soggetto cardine della messa in scena dei drammi sociali contemporanei nelle accezioni sopra elencate. Valicando i confini della propria anatomia ed esplorando continuamente le possibilità della propria forma-corpo, la figura oltrepassa la dimensione della realtà sensibile esprimendo o evocando, anche attraverso l’utilizzo di oggetti di scena, l’inconscio tormentato della società contemporanea in apparizioni che agitano l’” Unheimliche”, ossia una sensazione perturbante. La presenza dei corpi, che si offrono senza pudore né compiacimento allo sguardo, viene avvertita come familiare ed estranea allo stesso tempo cagionando angoscia unita ad una sensazione di disordine e alterazione («Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare» scriveva Sigmund Freud ne Il perturbante, 1919). Reale e fittizio, verità e manipolazione si confondono.  Non c’è più distinzione tra realtà, immagine costruita, messa in scena e allegoria: il corpo attraverso una metamorfosi si fa metafora visiva che sconcerta la rappresentazione nel suo turbinio di gesti e di volumi frammentati. Aldi concepisce il quadro fotografico non come una composizione che mira a un’armonia estetica interna, ma come il luogo di un confronto, quando non di un conflitto, di forze e di forme che proprio attraverso il loro contrasto evocano il senso dei drammi contemporanei. Attraverso un peculiare uso del chiaroscuro e dell’illuminazione - accessorio paradigmatico per la materialità rilevante con cui plasma superfici e volumi - le convessità e concavità dei corpi assumono un’importanza particolare nel disegnare il gioco dinamico dei movimenti; allo stesso modo, le ombre nette che segnano i corpi e gli oggetti sembrano assorbire l’oscurità dello spazio nero in una fusione tonale di forme reali e spazi metafisici. Gli oggetti della messa in scena (mappe, giornali, martelli, chiodi, televisioni, penne) – che, fungendo da annesso o prolungamento del corpo, permettono alla donna-allegoria di esprimere sé stessa in registri prettamente iconografici – sono parte fondamentale della rappresentazione. A ben guardare, nonostante la drammaticità che sottende la narrazione di Aldi, gli oggetti rendono possibile la visualizzazione delle forze interiori della figura umana, conferendo ad essa una vivida presenza. Essi rappresentano contenitori di significati che lei combina nello spazio, creando tra loro nuovi livelli di significazione.

La dinamica interazione di forze di compensazione e confronto tra il corpo e gli oggetti lascia spazio, negli ultimi due quadri, a una diversa narrazione: la figura umana risulta marchiata di evocativi tratti grafici a significare l’importanza della memoria e la necessità di una rinascita collettiva. Nella trama del racconto si fa spazio una fievole speranza di un nuovo umanesimo: al dissolvimento dei valori assoluti, così come delle ideologie, della memoria e dei valori morali, non si reagisce ora con senso di angoscia, smarrimento e disintegrazione, ma con volontà di ricostruzione, autodeterminazione e re-invenzione di sé e della collettività. Il corpo dipinto diventa una tela pittorica capace di opporre un senso di permanenza alla disintegrazione della morte e al senso di autodistruzione che sembra pervadere la società contemporanea.

Torna alla Galleria

 

 

 

 

 

bottom of page